Teatro a Torino: “Le Baccanti” al Gobetti, “Lungo viaggio verso la notte” al Carignano

19.02.2025

Nel quarantennale della loro avventura artistica (1985-2025), i Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa ritornano alla tragedia greca in una sorta di fil rouge nella loro produzione. Per celebrare questo anniversario, martedì 25 febbraio 2025, alle ore 19.30, debutteranno in prima nazionale al Teatro Gobetti – riferisce un comunicato stampa del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale - con Istruzioni per l'uso del Divino Amore: mana enigmistico. LE BACCANTI di Euripide che "precipitano" a contatto col reagente Marcido una riscrittura integrale di Marco Isidori da Euripide. Diretto dallo stesso Isidori, con un allestimento scenografico di grande impatto visivo curato da Daniela Dal Cin, lo spettacolo è interpretato da Paolo Oricco, Maria Luisa Abate, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, Alessio Arbustini, Vincenzo Quarta, L'Isi. Questo nuovo allestimento, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dalla compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, resterà in scena fino a domenica 9 marzo 2025.

La vicenda è riletta attraverso la lente del grottesco: la via dell'antica catarsi è percorsa da una spiccata dimensione ludica; trionfa il gioco del Teatro, affidato alla voce di un coro tragico che diventa Coro Marcido, catalizzatore di un'energia scenica travolgente, una voce sola, un tutt'uno con la macchina scenica che campeggia sul palco. Questa volta è il Palazzo di Penteo, l'ultima delle straordinarie invenzioni della scenografa Daniela Dal Cin: gli interpreti lo scalano, lo assediano, s'inerpicano sopra e dentro l'architettura aprendo botole e svelando meccanismi nascosti, nel segno di quella fantasia sorprendente che è il simbolo più vivo e più conosciuto del teatro dei Marcido.

Note di regia di Marco Isidori Per una messa in scena delle "Baccanti" secondo i Marcido: «I Marcido hanno già affrontato i temi della tragedia attica attraverso spettacoli che segnarono una tappa non secondaria dell'interpretazione moderna di questa forma teatrale (Agamennone 1988, Persiani 1990, Prometeo 2000, Edipo 2012); ma da sempre l'obbiettivo principe fu quello di riuscire a varare una "loro" edizione, magari sognandola "definitiva", delle Baccanti di Euripide, tanto che possono affermare a ragione che gli allestimenti sopra citati non furono che una rincorsa, un'ouverture diciamo d'allenamento poetico, affinché la Compagnia si facesse le ossa per incontrare finalmente la fatalità feroce del gran testo euripideo. Perché questo sotterraneo timore di fronte alle Baccanti? Semplice: i nodi di irrisoluzione scenica che avviluppano, quasi strutturandone lo scheletro tutta la produzione tragica dell'età classica, diventano nella spira dionisiaca delle Baccanti, nodo scorsoio, rischiando di far naufragare nel mare della retorica piùsfacciata chi tentasse di portare sul palcoscenico la vicenda, senza aver prima considerato che la sua intimità drammatica è, non solo sfuggente, ma senz'altro enigmatica.

Tale carattere, o meglio, la presa d'atto che questo fosse il carattere precipuo della tragedia in predicato, ci impediva finora di osarne un nostro "assalto": adesso l'esperienza ci detta e ci consiglia che invece d'intestardirci a voler sciogliere gli enigmi, sarebbe più opportuno e teatralmente assai più proficuo, entrare a capofitto nel magma dionisiaco che innerva la materia dell'opera, cercando di stanare il parallelismo dei motivi che allora ne fecero elemento indispensabile alla coesione politica della comunità greca, e oggi ne dovrebbero fare, se il Teatro non vuol abdicare al suo senso più proprio, evento spettacolare altrettanto necessarioalla "misura" del consorzio sociale degli attuali umani. Tali premesse hanno guidato le coordinate produttive delle Baccanti in una direzione complessa ma inequivoca: la costruzione di una trappola sensuale dove far precipitare ogni istanza del dettato storico della tragedia, per restituire, attraverso il filtro di una teatralità esercitata al massimo della potenza espositiva, il centro pulsante del discorso filosofico euripideo: la ricerca di una tensione orgiastica generale per la nostra specie, che, superando gli scogli nefasti dell'individuazione, anzi negando a essa positività e anche funzionalità naturale, traguardi l'uomo, almeno per il tempo della rappresentazione, in una zona sentimentale antipodica rispetto alla normalità del vissuto quotidiano».

Un diverso comunicato stampa del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale riferisce che martedì 25 febbraio 2025, alle ore 19.30, debutta al Teatro Carignano Lungo viaggio verso la nottedi Eugene O'Neill, nella traduzione di Bruno Fonzi e l'adattamento di Chiara DeMarchi. La regia è di Gabriele Lavia, che sarà in scena con Federica Di Martino e con Jacopo Venturiero, Ian Gualdani, Beatrice Ceccherini. Le scene sono di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Giuseppe Filipponio, il suono di Riccardo Benassi. Lo spettacolo, prodotto da Effimera srl e da Fondazione Teatro della Toscana, resterà in scena per la stagione in abbonamento dello Stabile di Torino fino a domenica 9 marzo 2025.


Scritto tra il 1941 e il 1942 (prima assoluta nel febbraio 1956 a Stoccolma) Lungo viaggio verso la notte vinse il Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1957, dopo la morte dell'autore, ed è considerato il suo capolavoro, nonché uno dei capisaldi della drammaturgia americana. L'intera vicenda si svolge tra le pareti di una casa borghese nell'arco di una sola notte, durante la quale i membri di una famiglia si accusano, si tormentano e precipitano oltre ogni canone di umanità. L'opera ha avuto numerose messe in scena in tutto il mondo, con la prima in Italia nel 1957 al Teatro Valle di Roma a cura di Renzo Ricci. Sidney Lumet diresse la regia del primo adattamento cinematografico, nel 1962, con Katharine Hepburn e Ralph Richardson.


Note di Gabriele Lavia: "Long Day's Journey into Night è il titolo che Eugene O'Neill dà alla sua opera centrale, alla sua opera-confessione (il padre di O'Neill era stato un attore di grande successo, come il protagonista della sua opera teatrale). La casa-prigione della "famigliaccia" che O'Neill ci racconta, in fondo, è proprio casa sua. E qui sta il cammino tortuoso di una possibile messa-in-scena-viaggio di quest'opera, davvero amara, scritta da O'Neill ormai vicino alla morte per fare "un viaggio all'indietro" nella sua vita. Un viaggio impietoso dentro l'amarezza di un fallimento senza riscatto. Le vite degli uomini sono fatte di tenerezza e violenza. Di Amore e disprezzo. Comprensione e rigetto. Di famiglia e della sua rovina".

La foto che pubblichiamo relativamente a questo secondo comunicato stampa è di Federico Pitto.

M. P.