“Si può solo dire nulla”: un libro raccoglie le interviste di Carmelo Bene

06.04.2023

Questo libro, "Si può solo dire nulla" (ilSaggiatore, 1744 pagine, 65 Euro, a cura di Luca Buoncristiano e Federico Primosig), non deve assolutamente mancare nella biblioteca di chi ama Carmelo Bene. Il volume, infatti, è la raccolta definitiva delle sue interviste; un'opera che lo insegue lungo quarant'anni di carriera per restituire, attraverso le sue dichiarazioni pubbliche, l'autobiografia impossibile di una delle figure più geniali, trasgressive e incatalogabili del Novecento. In queste interviste assistiamo a distanza ravvicinata alle molte vite artistiche di Carmelo Bene e alle sue evoluzioni: lo incontriamo appena venticinquenne mentre risponde con sfrontatezza alle accuse di oltraggio al pudore per il provocatorio Cristo '63; lo ritroviamo come un alieno al Festival del cinema di Venezia a presentare il film "Nostra Signora dei Turchi" o sfidare a duello un critico che aveva mosso riserve contro la sua "Cena delle beffe"; siamo testimoni del successo ottenuto in Francia con "S.A.D.E." e "Romeo e Giulietta", delle sue sperimentazioni sonore – la ricerca sulla phonè – e della trasformazione dell'attore in «macchina attoriale»; assistiamo alla lettura della "Commedia" di Dante in cima alla Torre degli Asinelli di fronte a più di centomila persone; lo seguiamo mentre calca le scene di tutta Italia, illuminato dalla luce del mito, braccato da un pubblico e da una stampa che vuole penetrare il mistero di un genio e partecipare della sua aura.

Con gli occhi neri come due crateri fissi sull'intervistatore, Carmelo Bene alterna in queste pagine profezie e stroncature, anatemi e poesie, cerca l'autopromozione con gli stessi gesti con cui fa arte, discute e litiga di immortalità e di calcio, di letteratura e oblio, di sacro e gossip, perché ogni cosa nel suo mondo è tutto e niente, esiste ma senza esistere. Per Carmelo Bene «si può solo dire nulla» perché questo è il destino di ogni discorso: tutto è sulla scena solo per essere distrutto e dimenticato per sempre.

È rimasta celebre un'intervista concessa a Giuliano Capecelatro (l'Unità, 27 giugno 1994), dove si legge tra l'altro: "Il calcio serviva una volta a garantire… questi catini raccoglievano centomila, ottantamila, cinquantamila pazzi pericolosi, in tutt'Italia. Il calcio ha avuto i suoi meriti. Diversamente sarebbe finita a coltellate negli usci di Napoli, e anche a via Toledo. Il calcio è stupendamente rappresentato dalla nostra nazionale. Si vedono undici ragionieri in mutande allo sbaraglio, senza nessuna remora, senza nessun decoro, anche nel senso francese, décor, scenografia, nel senso anche del costume: li ho visti sempre in mutande, non sono calzoncini, brache da sportivi, sono le mutande di una volta. E il nostro governo, il nostro sottogoverno in mutande. Sono i contribuenti, e la squadra dei contribuenti. Contribuenti ed evasori fiscali, invece di essere evasori sono strapagati, evadono in questo senso. Cara aurea mediocritas. Non ci sono piu valori in gioco o giochi di valori. Ma il calcio oggi è filtrato anche dalla televisione: più che veder giocare a pallone e un sentir parlarne. I fatti non esistono, Aristotile docet. Non importa che un fatto sia

davvero accaduto, l'importante e come e raccontato, diceva Aristotile. Qui è stato preso fin troppo sul serio. Mi interesso al calcio per quanto del calcio esorbita. Come nel tennis con Edberg, nella boxe con Clay, Leonard, nel calcio con Van Basten… quanti eccedono il loro stesso mestiere. Van Basten: mi basta vedere un suo tiro di collo pieno per sentirmi ripagato della giornata".

C. S.