Il capitano Aurelio Padovani e il fascismo meridionale in un libro di Gigi Di Fiore

21.12.2022

Il libro di Gigi Di Fiore, "Il gerarca che sfidò Mussolini" (Utet, 384 pagine, 18 Euro), racconta - come recita il sottotitolo - "Aurelio Padovani e il fascismo meridionale". Nell'ottobre del 1922, il Partito fascista raduna le sue forze a Napoli, in quella che appare una prova di forza in vista della marcia su Roma. Tra gli organizzatori dell'adunata c'è uno dei capitani del Sud, leader del fascismo campano delle origini: il gerarca Aurelio Padovani. Volontario della guerra di Libia e reduce pluridecorato (e mutilato) della Grande guerra, Padovani è un antisocialista feroce con un incredibile ascendente sui lavoratori napoletani, tanto che Mussolini ne intuisce subito le capacità e lo vuole accanto a sé nella sua scalata verso il potere, che non può fare a meno di sostegni nel Mezzogiorno. Ma il loro sodalizio è destinato a incrinarsi. Il duce e Padovani hanno idee molto diverse su come il nuovo partito debba allargare la propria base elettorale.

Contrariamente a Mussolini, Padovani non vuole stringere alleanze con i nazionalisti, espressione al Sud del potere stantio ed elitario dei vecchi notabili; il partito che sogna è repubblicano, indisponibile a qualsiasi compromesso. Lo scontro tra i due si inasprisce di giorno in giorno, arrivando all'espulsione di Padovani dal partito, finché, nel 1926, il capitano e otto dei suoi fedelissimi restano uccisi nel crollo del balcone della sua casa-studio in via Orsini, nel quartiere di Santa Lucia a Napoli. Su quella disgrazia aleggiano molti dubbi, tanto che la folla acclamante raccolta sotto casa del "ribelle in camicia nera" sospetta subito un attentato e si riversa per le strade a caccia di un colpevole. Le indagini smentiranno questa ipotesi, la svolta autoritaria del regime nasconderà i contrasti pregressi e Padovani finirà nel dimenticatoio.

Con questo suo nuovo libro, in occasione del centenario della marcia su Roma, Gigi Di Fiore, grazie a una ricerca su inediti atti processuali rimasti finora sepolti negli archivi e fonti giornalistiche dell'epoca, svela una storia dimenticata che ci pone davanti uno di quei crocevia in cui si determinò il futuro del Paese: cosa sarebbe stato il fascismo senza la caduta di quel balcone?

Scrive tra l'altro Gigi Di Fiore: "Il capitano aveva creduto che fosse possibile, con il fascismo, interrompere il potere della vecchia classe dirigente trasformista, che le camicie nere fossero il nuovo, una speranza da offrire alla gente senza mezzi, agli sfruttati senza storia nel Mezzogiorno. Aveva creduto che fosse venuto il momento di dire basta ai notabili, ai vuoti discorsi, ai compromessi. Non aveva saputo distinguere gli intrighi, le commistioni, gli interessi che invece il fascismo aveva scatenato da subito nel Sud, già quando si opponeva all'avanzata socialista con la violenza e contrastava il predominio politico cattolico-liberale. Padovani aveva creduto in un "nuovo" di cui non riusciva ad afferrare con chiarezza tutti i contorni, i maneggi, la violenza feroce. Pensava che la forza delle mani fosse uno strumento indispensabile, ma da usare solo per difendersi e contrastare dichiarati avversari politici. Organizzò in grande il raduno a Napoli nell'ottobre del 1922, apoteosi di una sua parabola politica che già dal gennaio successivo avrebbe iniziato la fase calante. Il notabilato meridionale, ancora una volta, avrebbe vinto sopravvivendo a se stesso e considerando le «dichiarazioni di Padovani di lotta serrata alle camarille e alle clientele come una diretta minaccia».

D. P.