Con il libro di Giorgio Samorini alla scoperta delle affascinanti mitologie delle piante inebrianti
Secondo i racconti tradizionali degli Huichol, popolo nativo della Sierra Madre messicana, il peyote - un cactus utilizzato a scopo rituale perché capace di provocare esperienze visionarie - sarebbe sorto dalle impronte di un dio Cervo. Ancora oggi gli Huichol, nel corso del loro pellegrinaggio a Wirikuta, sono soliti ritualizzare la caccia al cervo-peyote rinnovando in questo modo ciclicamente l'avvenimento mitico.
Tale particolare credenza degli Huichol - insieme a molte altre - è raccontata e spiegata da Giorgio Samorini nel suo saggio "Mitologia delle piante inebrianti" (Edizioni Studio Tesi, 196 pagine, 15 Euro), con prefazione di Alessandro Grossato. Il libro conduce in un affascinante viaggio alla scoperta del millenario rapporto tra essere umano e piante inebrianti, un legame spesso suggellato all'interno di dimensioni sacre e cerimoniali. Un itinerario nel tempo e nello spazio le cui tappe sono il frutto di decenni di esperienze che Giorgio Samorini ha accumulato come studioso etnobotanico, svolgendo ricerche sull'uso tradizionale delle piante inebrianti in Africa, America Latina e Asia.
La ricerca sviluppata in questo libro da Giorgio Samorini mostra come le piante inebrianti siano state considerate un dono delle divinità agli uomini per permettere loro di comunicare con le dimensioni del sacro, con il mondo degli spiriti o con quello - per certi aspetti affine - degli antenati. Tali sistemi di credenze poggiano su mitologie specifiche relative alle origini delle singole piante inebrianti. Miti che spiegano, motivano e fondano continuamente, nell'ambito del rito, l'esistenza e il rapporto causale della pianta con l'uomo. Si tratta di mitologie più o meno elaborate, non di rado ben preservate nelle trame di cosmogonie e antropogonie delle popolazioni tradizionali; in altri casi, invece, il mito arcaico muta la propria fisionomia e le sue tracce riaffiorano nei racconti, nelle novelle o negli aneddoti quali forme residuali folkloriche che vanno di volta in volta decifrate. Giorgio Samorini raccoglie diversi racconti mitologici dalle più disparate fonti in merito ai vegetali inebrianti: dagli stimolanti quali caffè, tè, tabacco, coca; ai narcotici e sedativi come le bevande alcoliche e il papavero da oppio; fino agli allucinogeni quali la canapa, il peyote, la mandragora, l'ayahuasca e i funghi.
Attraverso un'osservazione che spazia diacronicamente e diatopicamente fra le culture umane, riemergono le narrazioni sulle origini siderali della vite, il parto vegetale della prima donna sulla terra (ayahuasca), i miti che vedono nascere piante inebrianti nel luogo di amplessi umani (tabacco) o divini (kava), o incestuosi (coca); passando per quelli originati dalla tomba di donne morte ingiustamente (papavero) o per mal d'amore (betel) o, infine, per volontà divina come fattore salvifico tribale (peyote, iboga).
Massimiliano Palmesano