“I Greci selvaggi”: l’antropologia storica di de Martino in un libro di Riccardo Di Donato

17.10.2023

L'onda di rinnovato interesse che - in Italia, come pure in Francia – da qualche anno si è accesa intorno alla figura e al pensiero di Ernesto de Martino sembra non affievolirsi. Riccardo Di Donato ha lavorato a una nuova edizione de "I Greci selvaggi" (Meltemi, 288 pagine, 20 Euro), fondamentale testo per lo studio e la conoscenza del percorso di de Martino, la cui prima edizione risale al 1999. Il professore Di Donato nella nuova prefazione indica in modo preciso il punto focale dell'attualità di de Martino: in una fase storica caratterizzata da forti contraddizioni sociali, economiche ed ecologiche, da conflitti sempre più profondi - dall'Ucraina al Medio Oriente, passando attraverso il continente africano - «resta assolutamente concreta l'attualità del dramma esistenziale» (p. 7). Di Donato si riferisce a una concreta "crisi della presenza" collettiva e permanente che si spinge «fino all'estremo della dimensione apocalittica, il dramma che è interno e coessenziale a tutta l'opera di Ernesto de Martino» (Ib.), fino a "La fine del mondo" (1977) uscito postumo con la curatela di Clara Gallini.

"I Greci selvaggi" è un libro importante per una serie di motivi diversi. Innanzitutto perché la sua genesi rappresenta lo sforzo di aprire una stagione nuova nello studio delle idee di de Martino, nonostante gli ostacoli di accesso alle fonti ancora esistenti: le 'carte' di de Martino sono state a lungo tempo gestite «con molta buona volontà, un certo dilettantismo e qualche sostanziale ambiguità» (p. 8). Il cantiere del libro è il frutto di un percorso collettivo cominciato nel 1987 intorno all'organizzazione del seminario - e in seguito pubblicazione – "La contraddizione felice?" che aveva visto la partecipazione attiva di Arnaldo Momigliano «nell'ultima primavera della sua vita» (Ib.). Un cantiere che ha fuor di dubbio avuto il merito di aprire nuove strade della ricerca e di aver superato la polarizzazione in cui si erano arenati gli studi su de Martino. La caratteristica più evidente di tale nuova prospettiva risiedeva nell'affermazione dell'impossibilità di elaborare una interpretazione univoca e lineare del pensiero demartiniano. La "contraddizione" appare la cifra che marca in modo uniforme il percorso culturale di de Martino; necessaria una riflessione per superare le "due vulgate dominanti" sul dibattito intorno allo studioso napoletano. I due approcci riducevano così la complessità dell'itinerario intellettuale di de Martino: da un lato, storici e filosofi, si impegnavano a sottolineare una coerenza con la tradizione dell'idealismo crociano, dall'altro chi delineava una linea evolutiva nel solco dello storicismo non interamente compiuta verso il marxismo, in modo particolare attraverso il pensiero di Antonio Gramsci. Le «venature esistenzialistiche» (p. 9) che avevano caratterizzato gli esordi e le ultime riflessioni di de Martino venivano considerate marginali o, in ogni caso, non decisive ai fini di un giudizio complessivo sulla sua figura. Tra i meriti de "I Greci selvaggi" vi è quello di aver scoperto - e aperto al mondo degli studi – l'esistenza di una "preistoria" di Ernesto de Martino che di fatto modificava taluni presupposti su cui si basava l'interpretazione del suo percorso e rompeva la polarizzazione di quelle che Di Donato definisce appunto le "vulgate" della sua biografia intellettuale.

In particolare ne "I Greci selvaggi" viene a galla l'influenza di due figure che, ancora prima dei maestri Adolfo Omodeo e Benedetto Croce, indirizzarono il giovane de Martino: si tratta dello storico delle religioni Raffaele Pettazzoni - centrale nella cultura italiana del '900 – e del poco conosciuto, ma probabilmente di influenza cruciale, Vittorio Macchioro, suocero di de Martino. La scoperta di tale "preistoria" ha contribuito a un lavoro di ricerca che ha inciso in modo decisivo ai fini della conoscenza della giovinezza di de Martino, come per i casi del periodo universitario caratterizzato «dall'esperienza vissuta di una religione civile identificata con il fascismo» (p. 11), o della svolta liberale realizzata a Bari nell'ambito del circolo crociano riunito intorno ai Laterza e del periodo in Romagna contraddistinto dalla partecipazione alla Resistenza e dal primo approdo al marxismo. Esodo che si sarebbe compiuto in modo definitivo con la lettura dei "Quaderni del carcere" di Gramsci pubblicati da Einaudi nel 1948: stessa casa editrice e stesso anno de "Il mondo magico" che inaugurava la cosiddetta "Collana viola" curata da de Martino e Cesare Pavese. Un ulteriore snodo che "I Greci selvaggi" ha osservato attraverso un paradigma inedito è quello relativo alle motivazioni culturali dell'impegno politico di de Martino nel corso degli anni '50, una stagione nell'ottica di un meridionalismo fortemente connotato in senso etico oltre che marxista, o per meglio dire gramsciano.

Si tratta soltanto di alcune delle tracce individuate grazie al lavoro cominciato con il citato cantiere del 1987 e proseguito da Riccardo Di Donato nella curatela del saggio "La contraddizione felice?" e, infine, ne "I Greci selvaggi". Un libro che si fonda sullo studio di alcune "parzialità" ma che rappresenta «nella struttura dell'argomentazione e nelle conclusioni a cui arriva, contributo alla comprensione della totalità demartiniana» (p. 21). Di particolare interesse il secondo capitolo, "I Greci selvaggi", che ricostruisce, tra l'altro, il rapporto tra Vittorio Macchioro e Aby Warburg e il loro incontro a Napoli del maggio 1929. Lo storico dell'arte - o forse sarebbe meglio dire antropologo dell'immagine – tedesco restò impressionato nel profondo dalla straordinaria erudizione e dalla eccentrica figura di Macchioro, tanto da definirlo "Ein Besessener aber Bacchos" (un posseduto da Bacco). Un episodio che ha permesso di ipotizzare la conoscenza di de Martino – tramite Macchioro che, tra gli altri, aveva invitato il giovane studioso alla lettura delle opere di Mircea Eliade – del pensiero di Warburg e delle possibili influenze di quest'ultimo nella genesi dell'"Atlante figurato del pianto" che chiude il saggio "Morte e pianto rituale" (1958). "I Greci selvaggi" - nel dedalo di traiettorie che lo attraversano - è sicuramente un libro che stimola a continuare a pensare alle complicate e contradditorie vicende della biografia intellettuale di Ernesto de Martino.

Massimiliano Palmesano