“Un paniere di chiocciole”: in un libro cinquanta elzeviri di Tommaso Landolfi

10.05.2025

Il libro di Tommaso Landolfi, "Un paniere di chiocciole" (Adelphi, 320 pagine, 24 Euro), raccoglie – come recita il sottotitolo – "Cinquanta elzeviri". Costretto a lavorare su un minuscolo scrittoio, il protagonista di A tavolino realizza che lo spazio è insufficiente «a qualunque libera espansione dell'intelletto» e che la redazione di testi «eterni e feraci» gli è ormai preclusa. Eppure, ribadisce a sé stesso, «ho da fare un articolo, e se non lo faccio i miei figlioletti rimangono desolati, famelici...». Così, con feroce autoironia, Landolfi mette in scena la sua condizione di elzevirista al soldo del «Corriere della Sera» e un'idea di letteratura sfrondata di ogni alloro, prigioniera di una gabbia coercitiva, ridotta alla funzione di gagne-pain. Ma proprio nel loro carattere di scrittura ricondotta alla sua chimica essenza risiede il fascino di questi cinquanta elzeviri, perfetti congegni capaci di evocare incontri mancati, occasioni ignorate perché «il gelido soffio della disperazione» spazza via ogni speranza; di vivisezionare relazioni di coppia oblique, simili ad acerbi duelli o a una «benigna trama di nulla»; di rivelare, con la gelida efficacia dell'incubo, l'inconsistenza di ciò che chiamiamo «io», di vanificare la fiducia nella ragione, di dar corpo alle nostre più segrete paure: nello splendido Il bacio, per esempio, l'invisibile creatura che ogni notte visita, imprimendogli un bacio sulle labbra, un timido e al principio deliziato notaio si rivela una falla «nel nero etere cosmico», decisa a succhiargli la vita. Un incubo è del resto il nostro vivere quotidiano, assediato dal bisogno, dal vuoto, da un angoscioso «senso d'irrealtà, di casualità» – dalla tragica consapevolezza che «la gente, quando non è noi, è odiabile perché non è noi; quando è noi, è odiabile perché è noi».

Ecco un assaggio del libro: "Era piccina, ultracinquantenne, oltremodo sgraziata della persona: sua madre era morta d'accidente tanti anni prima, morta in dieci minuti, lasciandola so la e sbigottita; faceva la maestra; si faceva coraggio rizzando il capino e col suono della propria stentorea voce; che fosse sciocca era sottinteso. Ora veniva a trovare il bambino: cercava d'ingannare così, in varie case del paese, la sua angoscia della solitudine e della morte. Naturalmente Andrea aveva voluto fuggire e abbandonarla a sua moglie, ma la visitatrice entrando gli aveva tagliato la strada verso il piano superiore, sicché era rimasto in trappola. E adesso| Però non c'era da preoccuparsi troppo: pensava lei a parlare, quasi ininterrottamente, né usava ascoltare quello che le si diceva. Fece infatti un monte di complimenti al bambino, intramezzandoli con resoconti di suoi propri successi scolastici (lodi del direttore didattico, dell'ispettore). Andrea la guardava con occhio spento. D'un tratto s'avvide che nei suoi gesti c'era un che di furtivo, quasi ella avesse voluto nascondere le mani; per cui cercò collo sguardo di acciuffarle nei loro andirivieni e nei loro tentativi di imbucamento. Lei gli lanciò un'occhiata inquieta, da colpevole. Le nocchiute manine erano esangui, ceree quasi per intero: soffriva, secondo Andrea troppo tardi rammentò, di non so che guai di circolazione, che ogni tanto le facevano morire le estremità. Insomma Andrea, che aveva il cuore grande così, di punto in bianco si disse che doveva assolutamente far qualcosa per quella povera donna. E che cosa poi. Alle donne, si sa, non si può fare che un bene: amarle, o fingere di amarle. Ebbene sia così, concluse alla svelta il nostro filantropo o filogino, e ne nasca quello che può; un dovere è un dovere, mi farò coraggio, non sarà mica una morte d'uomo".

A. P.