Un libro di Edith Bruck e Andrea Riccardi contro la guerra e l’antisemitismo

09.03.2025

Il libro di Edith Bruck e Andrea Riccardi, "Oltre il male" (Editori Laterza, 128 pagine, 15 Euro), è un appello contro la rassegnazione. Edith Bruck, poetessa e scrittrice, è nata nel 1931 e, poco più che bambina, ha vissuto sulla propria pelle l'orrore dei lager nazisti.
Andrea Riccardi appartiene alla generazione del dopoguerra. Storico, le guerre le ha studiate e poi le ha conosciute da mediatore per la pace.
Due modi diversi di testimoniare cosa è il male, con una sensibilità rara, nella costante speranza in una umanità migliore, e nella convinzione che anche nelle stagioni più cupe si debbano e possano trovare delle luci.

Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen: sono i nomi del male assoluto dei campi di concentramento che Edith Bruck ha vissuto quando aveva appena 13 anni, deportata insieme alla famiglia dal villaggio ungherese in cui era nata. Vittima innocente di uno dei capitoli più bui dell'umanità, ha trascorso il resto della sua vita – con la sua parola, con i suoi libri, con il suo impegno – nelle scuole a testimoniare, perché tutti insieme potessimo dire 'mai più'.
Mozambico, Libano, Siria: sono alcuni degli scenari drammatici di cui Andrea Riccardi è stato testimone. Fondatore della Comunità di Sant'Egidio, si è impegnato attivamente e in prima persona perché si aprissero spiragli di pace in contesti difficilissimi. Perché tutti insieme potessimo sperare 'mai più'.
Edith Bruck e Andrea Riccardi vengono da mondi distanti, non appartengono alla stessa generazione, hanno radici culturali e religiose diverse. Entrambi però hanno conosciuto il male. A partire dal racconto delle loro esperienze, prendono avvio in queste pagine riflessioni lucidissime su cosa sia il male, su come possiamo affrontarlo e sulla necessità di non rassegnarci ad esso. Un appello oggi più che mai necessario.

Ricorda tra l'altro Edith Bruck: "Io sono nata nel male, al contrario di te. Ma ti dirò di più. Io ho conosciuto il male anche prima della guerra: sono nata nel 1931, la più piccola di sei fratelli, e sono nata nell'odio, perché sono nata nell'antisemitismo. E – a quanto vedo – credo che nell'antisemitismo morirò. Insomma, per me la prima ragione di sofferenza è stato il male che avevo intorno, nel senso che sono stata in qualche maniera punita da subito. Io sono nata in Ungheria, in un villaggio di 2.300 abitanti. E anche se non c'erano in quel momento le leggi razziali – come sarebbe successo dal '38 in Italia – sentivo intorno a me un razzismo costante, sempre, sempre. In quanto ebrea, sono stata accusata fin da piccolissima di deicidio: "Tu hai ucciso Gesù, avete ucciso Gesù!". Questo ho sentito dire da quando appena balbettavo. E quindi tutta l'infanzia l'ho trascorsa così, tra accuse, offese, aggressioni. Tornavo spesso a casa piangendo: "Mamma, perché mi dicono che noi abbiamo ucciso Gesù?", chiedevo. Lei cercava di consolarmi, e spesso aggiungeva anche: "Ci hanno rubato anche Gesù. I goyim ci hanno rubato anche nostro figlio Gesù!". In ogni caso avevo paura di Gesù, io. Il venerdì santo in particolare era terribile. Non potevo neanche avvicinarmi alla chiesa, perché vedevo Gesù che incombeva dal crocifisso inclinato, e mi dicevo: "Non entro, non entro... ora mi cade addosso, adesso si vendica su di me". Avevo terribilmente paura, da bambina. Solo in seguito ho imparato a farmi più forte. Tra l'altro il pastore del mio paese – un pastore riformato, sposato e con due figli – era un uomo meraviglioso. Ma una volta la settimana, a scuola, veniva un prete cattolico dalla città vicina e faceva lezione a tutti. Era molto severo, ed eravamo tutti terrorizzati. A frequentare eravamo ragazzi e ragazze insieme. Io imparavo subito. Seduta con le uniche altre due ebree della classe su una panca in ultima fila, una volta alzai la mano e risposi a una sua domanda. Ma lui mi zittì: "Siediti o vattene, non ti riguarda: tu sei ebrea, queste cose non ti riguardano". E, di nuovo, mi prese il terrore. Piangevo, corsi a casa da mia mamma disperata, perché ero molto ferita, il prete mi aveva cacciata, era stato molto duro. Anche se, ad essere sincera, le delusioni per quanto riguarda la religione mi sono arrivate da tutti i lati, anche dall'ebraismo".

D. P.