"Un ebreo in camicia nera": storia di un padre raccontata dal figlio Paolo Salom

19.03.2023

Il libro di Paolo Salom, "Un ebreo in camicia nera" (Solferino, 208 pagine, 16 Euro) è la storia di un padre raccontata dal figlio. «Non siamo più ebrei, siamo italiani e nessuno ci potrà fare del male.» È il 1938 quando Galeazzo Salom decide di convertire la famiglia al cattolicesimo. La moglie, erede di una stirpe di pii rabbini romeni, si oppone; ma lui è convinto di poter mettere tutti al sicuro di fronte alla marea montante delle persecuzioni. L'illusione durerà poco: l'Italia fascista mette al bando gli ebrei e la famiglia è costretta a nascondersi con la complicità di un parroco. È qui che ha inizio la storia di Marcello, uno dei tre figli di Galeazzo che, ribelle, a sedici anni, nel pieno dell'occupazione del Paese, decide di fuggire dal rifugio in cui sono riparati. La sua è un'autentica odissea che lo vede lasciare il Veneto alla volta di Milano e poi viaggiare verso il confine con la Svizzera dove spera di espatriare. Prima di arrivare alla meta, però, è catturato dai fascisti e si salva grazie all'istinto di sopravvivenza: finirà per vestire la camicia nera nelle brigate della Repubblica sociale italiana senza però mai rivelare la sua vera identità. E arrivando con le truppe fasciste fino al fronte della linea gotica. Un viaggio rocambolesco che si conclude con l'arrivo degli Alleati insieme a cui giungono le prime notizie sullo sterminio degli ebrei messo in atto dai tedeschi durante la guerra. Una storia autentica e paradossale che è anche un intimo confronto tra il padre protagonista e il figlio che lo racconta, un'immersione nella nostra storia di grande intensità e tensione.

Ecco un passo del libro: "Non passava giorno che alla radio non si udisse la voce stentorea e inconfondibile di Adolf Hitler che vomitava invettive e minacce contro gli ebrei, responsabili di tutti i mali del mondo e, in particolare, delle sofferenze dei tedeschi. Da un po' di tempo, in realtà, anche in Italia la propaganda fascista aveva iniziato ad attaccare gli «appartenenti alla razza ebraica», sconfessando le parole pronunciate solo quattro anni prima, nel 1934, da Benito Mussolini, di fronte al giornalista Indro Montanelli, ricevuto a Palazzo Venezia: «Il razzismo è una cosa da biondi!». Ma ascol­tate qui e là, visto che i giornali nazionali faticavano ad arrivare a Galatz, o sentite nei resoconti familia­ri le rare volte che arrivava una lettera, per gli ebrei italiani le cose sembravano comunque di gran lunga migliori. E poi c'era quel tarlo che continuava a scavare nella coscienza del capofamiglia, il desiderio inconfessato di farla finita una volta per tutte con le discriminazioni, con l'idea di «essere diversi» dal resto dei cittadini: «Siamo italiani, noi, e basta» mormorava tra sé e sé Galeazzo quando veniva sollevata la questione dell'identità, delle differenze tra Romania e Italia. Nel 1938, insomma, ormai distaccato dagli altri membri della famiglia padovana, Galeazzo si sentiva fisicamente e culturalmente lontano da quella particolare forma di appartenenza religiosa. Per lui contava soltanto l'identità italiana (e fascista): l'avrebbe fatta prevalere su tutto il resto. E, in un mondo dove l'essere ebrei cominciava a rappresentare un serio pericolo, non c'era che un modo: convertire moglie, figli e sé stesso al cristianesimo. Una volta battezzati, una volta abbracciata Santa Madre Chiesa, tutto sarebbe cessato all'istante. L'imminente promulgazione delle leggi razziali in Italia e la Notte dei cristalli in Germania lo avrebbero convinto in via definitiva del suo passo".

Paolo Salom (Ancona, 1962) è giornalista professionista dal 1991: ha lavorato per diverse riviste su temi di politica estera; dal giugno 2000 al «Corriere della Sera». Sinologo, autore dell'ebook Fukushima e lo tsunami delle anime (2012), ha scritto quattro monologhi per il Teatro No'hma di Milano e saggi sulla Cina.

D. P.