“Storia della colonna infame”: una nuova edizione del libro di Alessandro Manzoni

22.07.2023

Nell'estate del 1630, a Milano, il caldo e le disastrose condizioni igieniche infiammano una violenta epidemia di peste capace di uccidere più di cento persone al giorno. In quel periodo due donne riferiscono di aver notato un uomo aggirarsi sotto la pioggia e ungere le mura delle case con una strana sostanza probabilmente in grado di diffondere il morbo. Da qui parte la storia del processo agli "untori" e la furiosa ricerca di colpevoli da parte dei magistrati, spinti dalla popolazione imbestialita a scelte arbitrarie. La vicenda che Alessandro Manzoni ripercorre nel libro "Storia della colonna infame" (Edizioni San Paolo", 181 pagine, 10 Euro) a oltre due secoli di distanza solleva pesanti interrogativi morali sul trattamento degli accusati, sulla pena di morte e sull'interazione tra passioni collettive ed esistenze individuali.

Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 da una nobile famiglia che gli assicurò una solida educazione. Anticlericale in gioventù, dopo un lungo soggiorno a Parigi e il matrimonio con rito protestante, matura il suo passaggio alla fede cattolica. Tornato nel capoluogo lombardo avvia la sua stagione più feconda che vede la produzione di tragedie (come l'Adelchi, nel 1822) e odi civili (Marzo 1821 e Il cinque maggio, 1821). La fama del Manzoni è legata soprattutto all'innovativo romanzo storico "I promessi sposi", pubblicato nella sua prima versione nel 1827. Di questa avrebbe dovuto far parte il saggio "Storia della colonna infame", che fu invece pubblicato come appendice alla versione definitiva del romanzo, edita tra il 1840 e il 1842.

Si legge tra l'altro nella prefazione di Giuliano Vigini a questa nuova edizione: "A ricordo della sentenza del Piazza e del Mora eseguita in Piazza Vetra il 1° agosto 1630, su ordine del Senato milanese sarà eretta, sul terreno dove sorgeva la casa (distrutta) del Mora, la "colonna infame", da cui deriva il titolo del saggio manzoniano: colonna abbattuta soltanto nel 1778, questa volta riconosciuta come simbolo dell'infamia compiuta dagli organi della giustizia in quella "strage degli innocenti". Già Pietro Verri, amico e collaboratore di Cesare Beccaria, nelle sue Osservazioni sulla tortura – scritte tra il 1770 e il 1777, ma pubblicate postume nel 1804 – aveva denunciato "la pratica criminale della tortura" e "l'insidioso raggiro de' processi che segretamente si fanno nel carcere". Pur ispirandosi a questo testo, il Manzoni va più in là rispetto al nobilissimo scopo del Verri di abolire la tortura, ancora vigente al tempo della redazione delle Osservazioni; allarga il discorso, ricostruisce con rigorosa documentazione storica, non solo la fallacia, l'abuso e l'inadeguatezza della giustizia umana in genere, ma le atrocità commesse dai singoli giudici, in alcun modo giustificabili neanche dalla legislazione del tempo, così come lo scrittore non manca di denunciare l'indifferenza o la mancata cura di storici e letterati nell'affrontare l'arbitrio giuridico di questa tragica pagina di storia".

D. P.