Ritorna “La Terra del rimorso”: il tarantismo nel libro di Ernesto De Martino

27.02.2023

Einaudi, nel solco del progetto che ha visto già "rinascere" Il mondo magico, Morte e pianto rituale e La fine del mondo, realizza la nuova edizione de La Terra del rimorso di Ernesto De Martino (LII-412 pagine, 27 Euro, a cura di Marcello Massenzio), un classico del pensiero contemporaneo e una delle ricerche demartiniane più indagate, studiate e rilette. Come è noto, si tratta di uno studio sul tarantismo: un istituto culturale di matrice magico-religiosa basato soprattutto sulla musica e sulla danza, diffuso nelle comunità contadine del Salento. La nuova edizione del libro è aperta da un'ampia sezione introduttiva composta da tre scritti: una Premessa curata da Marcello Massenzio e Fabio Dei, una riflessione di Massenzio su Etnologia e pietas storica e un contributo di Dei intitolato Il tarantismo e il problema della cultura subalterna.

La Terra del rimorso è il punto di arrivo di un decennio di spedizioni etnografiche nel meridione. Per studiare il tarantismo Ernesto De Martino condusse, nel 1959, un'innovativa inchiesta sul campo guidando un'équipe multidisciplinare: dalla storia delle religioni all'etnomusicologia, dalla psichiatria alla sociologia. In realtà, è bene precisarlo, intorno alla figura di De Martino sono sorti non pochi equivoci: nel concreto la sua riflessione non si ingloba asetticamente nelle categorie dell'etnologia, dell'antropologia oppure della storia delle religioni; piuttosto il suo merito è quello di aver sviluppato uno sguardo largo sull'essere umano e sulla storia del suo pensiero, di aver posto questioni (o, come avrebbe scritto lui, "quistioni") nell'accezione inglese del termine e cioè di aver fatto domande. Molte delle domande di Ernesto De Martino sono state masticate e digerite dalla storia (una su tutte quella relativa alla nascita di una generazione di intellettuali illuminati capaci di emancipare il sud dalle sue contraddizioni); molte altre, ed è il caso dello sfondo su cui si muove La Terra del rimorso, restano di sferzante attualità. Il saggio sul tarantismo, per essere compreso in pieno, va decifrato e contestualizzato nell'ambito della triade cosiddetta meridionalistica che – per chiarire un ulteriore equivoco – nasce con l'obiettivo preciso di delineare una storia religiosa del sud Italia (e anche del Mediterraneo) dall'antichità all'epoca contemporanea. In tale ottica l'ermeneutica demartiniana del tarantismo configura lo stesso come parte di un orizzonte mitico-rituale di deflusso di profondi conflitti operanti nell'inconscio. E pure come "relitto" di un'antica forma religiosa in origine probabilmente diffusa in tutto il Mediterraneo. Il latrodectismo, ovvero la sindrome che veniva fatta risalire all'effetto del morso della taranta, è spiegato come un monstrum mitico capace di avvelenare la psiche e di condurla in una dimensione di malessere dalla quale è possibile evadere (e dalla quale è possibile ritornare) solo attraverso il potere delle musiche, del ballo e dei colori che stimolano, esorcizzano e scacciano lo spirito/ragno che si è impossessato del tarantato. Tale antica pratica magico-religiosa ha resistito tenacemente - nella sua funzione curativa e sociale - fino alla metà del Novecento, chiaramente subendo delle modifiche e delle metamorfosi nel corso della storia. Dal punto di vista tematico La Terra del rimorso coniuga il piano etnografico, relativo al materiale prodotto grazie alle spedizioni sul campo, con quello storico-religioso – operando un superamento delle elaborazioni dei "padri" Pitré e Pettazzoni – e quello più marcatamente antropologico, di interpretazione dei dati etnografici. De Martino precisa tale impostazione nelle prime battute del libro, condensando in poche righe la pluralità di sfumature che si intersecano nella trama della ricerca. «La Terra del rimorso – scrive De Martino - è, in senso stretto, la Puglia in quanto area elettiva del tarantismo, cioè di un fenomeno storico-religioso nato nel Medioevo e protrattosi sino al '700 e oltre, sino agli attuali relitti ancora utilmente osservabili nella Penisola Salentina. Si tratta di una formazione religiosa "minore" prevalentemente contadina ma coinvolgente un tempo anche ceti più elevati, caratterizzata dal simbolismo della taranta che morde e avvelena, e della musica, della danza e dei colori che liberano da questo morso avvelenato. In un senso più ampio la terra del rimorso, cioè la terra del cattivo passato che torna e rigurgita e opprime col suo rigurgito, è l'Italia meridionale, o più esattamente le campagne di quel che fu l'antico Regno di Napoli» (p. 3)

Un passaggio che incapsula tanto una particolare interpretazione dello storicismo crociano quanto le suggestioni scaturite dalle riflessioni di Gramsci sul meridione e gli strati sociali subalterni. E con tutta probabilità la cifra della riflessione di De Martino va ricercata proprio in tale alchimia: le sue ricerche non sono mai ingabbiate in modo rigido, le prospettive che si innestano sull'asse del discorso sono molteplici e abbracciano discipline e campi del sapere molteplici. Secondo l'ottica dell'autore la ricerca sul tarantismo rappresenta un "contributo molecolare" al più ampio orizzonte della "quistione" meridionale: un tema che De Martino ha messo al centro della sua riflessione per anni. Le storie dei contadini che affollano i taccuini delle spedizioni non sono mai freddo dato etnografico, piuttosto esse registrano le vicende individuali dei protagonisti di un'irruzione collettiva nella storia, in definitiva di un senso di umanità. De Martino è in continua "risonanza" con le condizioni esistenziali degli uomini e delle donne che incontra. Non solo. La Terra del rimorso è anche (e forse soprattutto) un "contributo molecolare" a una storia delle religioni del sud Italia – in una prospettiva diacronica, nel caso specifico dal Medioevo all'epoca contemporanea - quale parte indissolubile di un tutto rappresentato dalla cultura e dalla storia religiosa del bacino mediterraneo. Tale prospettiva storico religiosa del tarantismo, fornisce gli strumenti per la comprensione del progetto demartiniano. Il termine "rimorso" che innerva il titolo dell'opera, nelle intenzioni dell'autore illumina tanto un piano socio-esistenziale legato alle condizioni delle classi subalterne contadine meridionali, quanto la dimensione sacrale, rituale e simbolica originaria del tarantismo. Il ri-morso mette in evidenza la centralità del rito ciclico che ri-torna per creare la dimensione mitica del "primo morso", ovvero della prima esperienza di "crisi della presenza" vissuta dal tarantato. Ogni anno, in concomitanza con una fase cruciale del ciclo agricolo, il tarantato rivive l'esperienza di crisi da cui riesce a trovare riscatto attraverso il rituale coreutico musicale. In tale prospettiva è possibile ravvisare con chiarezza la triade di costanti sulle quali si imperniano gli istituti del sacro: il mito del primo morso, il rito ciclico del "rimorso", e il simbolo. Quest'ultimo incarnato dal ragno (come pure in alcuni casi dal serpente e dallo scorpione), ma anche dai colori, dagli schemi coreutico-musicali, dalle caratteristiche stagionali (Parte II, La Terra del rimorso). Un'autonomia simbolica (Parte I, par. 2, L'autonomia simbolica del tarantismo) centrale per la risoluzione della crisi, anche nei casi in cui non abbia inefficacia (Parte I, par. 3, Il simbolo non operante).

La nuova edizione Einaudi mette in risalto la ricchezza teorica dell'opera. Marcello Massenzio indaga la tematica etico-politica alla base della scelta di studiare il tarantismo, costruendo un confronto con Claude Lévi-Strauss e il suo disagio o "rimorso" di fronte alla disgregazione delle culture indigene nel mondo postcoloniale. Di particolare rilevanza risulta il contributo di Fabio Dei che analizza il dialogo cruciale tra De Martino e Antonio Gramsci nella genesi dell'opera. Dei riconduce il progetto delle spedizioni etnografiche nel Mezzogiorno all'influenza delle annotazioni gramsciane sul folklore come cultura delle classi subalterne. La lezione di Gramsci è fondamentale per comprendere La Terra del rimorso e l'intero decennio di spedizioni etnografiche tra le masse contadine del sud. L'umanesimo demartiniano viene messo in luce non come statico dogma, bensì come qualcosa «capace di ampliarsi "etnograficamente", per includere nella sua storia quei soggetti umani (i popoli coloniali come i volghi rurali del Mezzogiorno d'Italia) che non ne hanno mai fatto parte. È questo – conclude Dei – che in fondo rivendica per le sue tarantate: guarigione, emancipazione sociale, riconoscimento di esse come soggetti storici a pieno titolo» (p. LII, Il tarantismo e la cultura subalterna).

Una considerazione finale non può non essere dedicata all'apparato fotografico e iconografico dell'opera. La Terra del rimorso chiude, in un certo senso, non solo la triade meridionalistica ma pure l'esperienza di De Martino con la dimensione visuale che si era aperta con l'Atlante figurato del pianto che è parte di Morte e pianto rituale. Spesso il rapporto tra De Martino e le immagini viene considerato marginale, punto di vista forse troppo superficiale data la specifica attitudine di De Martino alla scrittura e la necessaria esigenza metodologica di operare attraverso di essa. Le immagini hanno invece un ruolo che è possibile definire originario nella genesi dell'opera. È stesso De Martino a sottolinearlo nell'introduzione: «La prima idea di compiere un'indagine etnografica sul tarantismo pugliese, e di dare inizio in questo modo alla progettata serie di contributi per una storia religiosa del Sud, mi venne guardando alcune belle fotografie di André Martin, delle scene che, dal 28 al 30 giugno di ogni anno, si svolgono nella cappella di S. Paolo in Galatina» (p. 20). La Terra del rimorso, inoltre, è anche l'ultimo atto della affascinante e tormentata vicenda della collaborazione tra De Martino e il fotografo Franco Pinna. L'apparato fotografico del saggio – selezionato e messo in sequenza da De Martino – è composto nella sua totalità da lavori di Franco Pinna, frutto di due diverse campagne di ricerca. Si tratta della spedizione in Puglia del giugno 1959, quindi quasi alla fine della collaborazione tra i due; e del reportage di Pinna a Tonara, in Sardegna, dello stesso anno. Le immagini pugliesi vennero selezionate da De Martino da un corpus di 464 scatti prodotto da Pinna nel corso della spedizione. Le figure 42-47 invece sono tratte da testi antichi.

Massimiliano Palmesano