“Ripartire da Nicea”: un libro a cura di Piero Coda e Stefano Fenaroli a 1700 anni dal Concilio

Il libro a cura di Piero Coda e Stefano Fenaroli (edd.), "Ripartire da Nicea" (Editrice Queriniana, 256 pagine, 25 Euro), è un importante contributo – come recita il sottotitolo – "Per leggere la fede dentro nuovi orizzonti", per illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea, per offrire spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all'umanità di Cristo. Alcuni tra i massimi esperti in Italia e nel mondo, riuniti attorno al più significativo anniversario storico del 2025. In occasione dei 1700 anni dal concilio di Nicea, questo volume mira a indagare il valore teologico del primo concilio ecumenico nella sua globalità, sotto il profilo storico, ermeneutico-fondamentale, sistematico e pastorale. Un'opera a più voci, che raccoglie gli scritti di studiose e studiosi di grande competenza e preparazione, provenienti da diverse parti del mondo ed esperti di diverse discipline, per dire ciò che ancora non è stato detto sul concilio di Nicea. Ne emerge così un quadro di eccellente profondità e di sicura attualità: le autrici e gli autori dimostrano come il concilio del 325 sia non solo un importante evento del passato, ma anche e soprattutto un punto di riferimento che ancora oggi è in grado di aprire nuovi orizzonti alla teologia e alla vita di tutta la comunità ecclesiale. Una festa del pensiero, per onorare l'evento ecclesiale del IV secolo che ha avuto un impatto storico e culturale senza paragoni sulla chiesa tutta, per ogni confessione e per ogni tempo. I contributi sono a cura di Emanuela Prinzivalli, Cristina Simonelli, Francesco Pieri, Michael Seewald, Anthony J. Godzieba, Elizabeth E. Green, Alberto Cozzi, Kurt Appel, Isabella Bruckner, Panaghiotis Ar. Yfantis, + Franco G. Brambilla, Andrea Grillo e Matteo Bergamaschi.
Si legge tra l'altro nell'introduzione di Stefano Fenaroli: "È interessante notare come lo stesso John Kelly, nella propria analisi della (possibile) formazione del Simbolo niceno, ci tenga a sottolineare come le "conseguenze" dovute all'introduzione di un nuovo linguaggio fossero in realtà oscure agli stessi padri presenti a Nicea, che inizialmente intendevano «costruire una definizione in un linguaggio ripreso dalla Scrittura». Tuttavia, «questa intenzione fu abbandonata solo quando ci si rese conto che qualsiasi testo concepibile o parafrasi biblica poteva essere ingegnosamente distorta dagli ariani». Anche per questo motivo, quindi, i padri hanno sentito l'esigenza di fare il primo passo, di anticipare gli "avversari", elaborando una nuova declinazione linguistica per la verità teologica delle Scritture, servendosi – con tutti i limiti e le possibili conseguenze – di un diverso orizzonte ermeneutico e culturale. Possiamo parlare di una vera svolta dogmatica: "La definizione di Nicea costituisce l'atto di nascita del linguaggio propriamente dogmatico nella Chiesa. È la prima volta che in un testo ecclesiale ufficiale e normativo si trovano impiegate delle parole che non provengono dalla Scrittura, ma dalla filosofia greca". Si tratta, dunque, realmente di due linguaggi che vanno incontro a una loro adeguazione in cui si «sprigiona un senso nuovo. Si determina una riscoperta delle profondità della fede a un livello nuovo di coscienza, nell'ambito di un nuovo tipo di ragione (ellenistica)».
M. P.