“Morte e pianto rituale”: l’elaborazione del lutto nel libro di Ernesto De Martino

07.02.2022

Per quanto grande possa essere il dolore per una perdita, nell'essere umano si impone il compito di evitare lo smarrimento di se stessi e di superare la crisi derivante dal lutto. Per spiegare i meccanismi che regolano tale riscatto dal dolore, lo storico delle religioni napoletano Ernesto De Martino apre il libro in cui illustra la sua teoria utilizzando alcuni frammenti sui "trapassati" di Benedetto Croce. La morte - sopra ogni altra cosa - rimanda in modo diretto alle riflessioni sulla "crisi della presenza" e sul "riscatto" che Ernesto De Martino aveva enunciato già a partire dal suo "Il mondo magico". Quella che può essere definita la fase più compiuta di tale percorso è rappresentata da "Morte e pianto rituale - Dal lamento funebre antico al pianto di Maria" (Einaudi, LXXVIII-374 pagine, 29 Euro), nella riedizione curata e per certi aspetti "ricentrata" da Marcello Massenzio.

Il capolavoro demartiniano spesso - e forse in modo superficiale - è stato considerato solo in quanto parte integrante della cosiddetta triade meridionalista assieme a "Sud e magia" e "La terra del rimorso", ma la complessità racchiusa nelle sue pagine traccia un impianto teorico eccezionale di respiro mediterraneo più che meridionale, frutto del concorso di molteplici saperi. Ernesto de Martino, a oltre mezzo secolo dalla sua scomparsa, è indubbiamente un personaggio cruciale nello sviluppo non solo degli studi demo-etno-antropologici, ma anche di quelli storici, filosofici e relativi all'indagine della psiche. A proposito di tale molteplicità di ambiti il professore Riccardo Di Donato ha detto di Ernesto De Martino che "da non filosofo praticò la filosofia, da storico l'etnografia. [...] ha lasciato scolari affezionati, esegeti discussi, non veri successori. Resta unico e nel suo tempo insuperato per entro le contraddizioni del suo ingegno" ("Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica", 2013).

"Morte e pianto rituale" rappresenta uno snodo maturo dell'intera riflessione di Ernesto De Martino. Nel saggio si risale alle radici dell'esigenza umana di rifiutare la morte nella sua scandalosa gratuità e, di riflesso, di procurare al defunto una "seconda morte" culturalmente definita e gestita mediante il ricorso a specifiche pratiche rituali. In particolare l'istituto del lamento funebre rappresenta una tecnica concreta e regolamentata finalizzata al superamento del rischio di defluire - a causa del dolore - fuori dal mondo insieme al defunto. Una pratica rivolta ai vivi non meno che ai morti poiché la potenza oppressiva del dolore rischia di compromettere l'integrità della presenza dei sopravvissuti. Il pianto rituale - secondo Ernesto De Martino - non cancella la crisi del cordoglio ma l'accoglie in sé, la trasforma in disciplina culturale capace di mantenere il pathos al riparo dall'irruzione della follia. Il valore dell'istituto del pianto rituale trascende i limiti storici e geografici: caratterizza, per esempio, sia le donne che piangono la morte dei faraoni rappresentate nelle pitture dell'antico Egitto sia le lamentatrici lucane fotografate da Franco Pinna durante le spedizioni degli anni '50 del Novecento. Con forme riadattate e rielaborate, al pianto rituale si abbandona persino la Madonna al cospetto della morte del Figlio, nonostante l'accesa polemica dei teologi cristiani contro il costume pagano. Il fenomeno nella fase studiata da Ernesto De Martino era ormai ridotto allo stadio di "relitto folklorico", ma le sue radici affondano nelle antiche civiltà agrarie del Mediterraneo, al cui interno il lamento funebre visse la stagione del suo massimo splendore, fino al suo progressivo declino causato dallo scontro con il cristianesimo trionfante.

A chiudere il libro e a materializzarne le riflessioni c'è l'"Atlante figurato del pianto" che non può essere considerato come una semplice appendice al testo priva di autonomia ma piuttosto come un'epifania per immagini dell'itinerario dell'autore. L'Atlante, se da un lato sollecita un confronto con l'"Atlante Mnemosyne" di Aby Warburg - probabilmente noto a Ernesto De Martino attraverso la mediazione del primo suocero Vittorio Macchioro, autore di "Zagreus - Studi intorno all'Orfismo" - dall'altro riafferma in modo saldo la persistenza della sua validità come modello attraverso un secondo Atlante contenuto nella riedizione Einaudi, ovvero quello proposto in apertura dal curatore del volume Marcello Massenzio. L'Atlante di Marcello Massenzio compie a tale proposito un'operazione molto interessante di "ridefinizione" dei confini cronologici e culturali dell'"Atlante figurato del pianto" demartiniano, ne riconferma le impostazioni ma al tempo stesso ne allarga il perimetro contemplando al suo interno sfumature del rapporto tra mondo antico e cristianesimo non considerate da Ernesto De Martino. Un campo - quello della "ridefinizione" dei confini dell'Atlante di Ernesto De Martino - che sembra essere suscitatore di spunti per il prossimo futuro, proprio a conferma della straordinaria pregnanza e attualità del pensiero dello storico delle religioni napoletano.

Massimiliano Palmesano