Lineamenti interpretativi del Trono di Spade in un libro di Giorgia Turnone

23.10.2025

L'interessante libro di Giorgia Turnone, "O si vince o si muore" (Bookabook, 351 pagine, 19 Euro), contiene – come si legge nel sottotitolo – "Lineamenti interpretativi del Trono di Spade". Forse una delle serie TV più amate degli ultimi anni, "Il Trono di Spade" ha conquistato un pubblico di spettatori ampissimo, senza dubbio maggiore rispetto ai lettori dell'opera di George R. R. Martin a cui si ispira. Il motivo di un riscontro così positivo è la capacità di esplorare l'uomo e l'individuo in ogni sua sfaccettatura, allontanandosi dai classici fantasy che vedono la netta contrapposizione tra Bene e Male, dove l'eroe è il paladino che deve salvare il mondo mediante la sua missione. Attraverso un'analisi dettagliata, la realtà di Westeros viene reinterpretata in questo saggio con una riflessione sulla centralità del rapporto tra individuo e potere, sulla volontà di autoaffermazione dell'uomo e sull'oscena materialità della violenza nella serie.

Ecco un assaggio del libro. Il 19 maggio 2019 è stato trasmesso in anteprima mondiale il sesto e ultimo episodio della stagione conclusiva del Trono di Spade (Game of Thrones): la fine di un ciclo certamente molto attesa, ma non davvero desiderata. Forse nessuno voleva che terminasse davvero. Per non dover dire addio ai propri beniamini su schermo, o forse per evitare di conoscere ciò che rappresentavano, per paura di scoprirsi delusi, da loro e probabilmente in parte anche da chi in questi beniamini ci credeva. Daenerys, la liberatrice di catene, dà alle fiamme Approdo del Re, in un atto di furia cieca e lucida al contempo; Jon, l'eroe della storia nonché legittimo erede al trono, è condannato all'esilio e ai rimorsi perenni; Jaime, il cavaliere dal cuore oscuro che sceglie di morire tra le braccia dell'amata Cersei, si nega di fatto quella seconda possibilità che la stragrande maggioranza del pubblico auspicava. Dove in molti vedevano eroine e paladini, giustizia e redenzione, bene e male, c'era in realtà "l'unica cosa su cui valga la pena scrivere: il cuore umano in conflitto con se stesso": lo disse William Faulkner dopo aver ricevuto il Nobel per la letteratura nel 1949 e George R. R. Martin (autore de Le Cronache del ghiaccio e del fuoco, ciclo di romanzi a oggi incompiuto di cui il Trono di Spade rappresenta la trasposizione televisiva) ne ha fatto la regola aurea della sua scrittura. Le origini di questo anomalo fenomeno serie televisivo risalgono al 17 aprile 2011, data della messa in onda dell'episodio pilota della serie sul network americano HBO: un vertiginoso crescendo di consensi da parte di pubblico e critica ha accompagnato lo show per otto stagioni e settantatré episodi, ma sarebbe un grave errore giudicare lo statuto eccezionale del Trono di Spade (e l'eredità che ci lascia) esclusivamente sulla base degli ascolti record registrati nei suoi anni di trasmissione. Di sicuro il successo che ha travolto il felice e fortunato adattamento de Le Cronache martiniane rappresenta un elemento decisivo nel processo di cristallizzazione del Trono di Spade nell'immortalità della cultura pop quale icona abitante nell'immaginario di milioni di persone. Non credo sia questa, però, la giusta prospettiva di analisi di un'opera che ha stravolto gli standard qualitativi delle serie TV, fenomeno, oggi, assai dibattuto e adeguatamente approfondito dalla critica di settore. Le Cronache, dicevamo: che Martin termini o meno quella che è sicuramente la sua magnum opus, questa non è banalmente, o esclusivamente, la matrice originaria da cui lo show è tratto; rappresenta qualcosa di più profondo, la genesi di uno stile, di una personalità, di un senso strutturale molto complesso e stratificato che Il Trono di Spade ha saputo far suo e tradurre sul piccolo schermo, compensando la densità delle vicende scritte con una spettacolarità visiva assolutamente rimarchevole. Il Trono di Spade è impregnato di letterarietà e romanzesco, non per il semplice fatto di essere derivato da una saga cartacea, ma perché nella sua narrazione agisce, fortissima e palpabile, la logica dell'intreccio, oltremodo intrigante ma potenzialmente rovinosa, in quanto l'accumulo di tante (e complesse) linee narrative necessita di un sapiente gioco di forze e tensione dall'impianto straordinariamente solido per non collassare. In questo, il Trono di Spade è stato ineccepibile: il motore che alimenta gli eventi di partenza si sostanzia, fondamentalmente, in due gialli, due domande a cui trovare una risposta, forse, correlata: "Cosa si cela dietro la caduta di Bran dalla Torre Spezzata?" e "Cosa si cela dietro la morte di Jon Arryn, Primo Cavaliere del re?". Già dall'innesco della trama, si nota una certa divergenza dal tipico canovaccio fantasy, giacché la componente sovrannaturale (l'arrivo degli Estranei) è relegata a sfondo, oltre i confini della storia (al di là della Barriera): presente, ma di fatto impalpabile. Nessun paladino è in viaggio per adempiere a una missione mortale ed epica. Ci sono solo uomini ed è questo che la serie rimarrà: una storia di uomini. Dell'uomo, con i suoi vizi e le sue virtù, Il Trono di Spade indaga in maniera invasiva e poco piacevole, ma anche sincera e autentica, la dimensione umana a tutto tondo, nelle sue espressioni più nobili e in quelle più becere. La esplora in rapporto al potere (politico e non), certamente uno dei temi salienti di tutta l'opera; tra il lucido e crudele pragmatismo di Tywin, la tirannide di Joffrey, l'inquietante camaleontismo di Baelish, l'assolutismo di Cersei, ma anche il giustizialismo ingenuo di Ned e Jon, l'astuta diplomazia di Tyrion e il romantico indipendentismo di Robb Stark, si palesa allo spettatore un vero e proprio trattato visivo sull'esercizio del potere, sul suo particolarissimo statuto e sull'ordinamento politico che ne deriva, su cui si modellano gli avvenimenti che seguono. E ancora: in questa ruvida vivisezione dell'essere umano, di ciò che più lo anima e che realmente lo annienta, non potevano mancare famiglia e amore, così gentilmente adulati nella maggior parte dei racconti, classici e non. Il Trono di Spade respinge l'idea di (impossibile) perfezione, dell'amor cortese e stilnovistico, così tanto narrato e osannato da essere unanimemente considerato come unico modello possibile, assoluto e insindacabile. E così, dopo aver simpatizzato istantaneamente per i valorosi Stark, nel prosieguo delle stagioni ci si domanda se anche Cersei e Jaime, gemelli incestuosi uniti da un amore turbolento e passionale, non avessero diritto a essere una famiglia, al netto della discutibile scala di valori in nome di cui agiscono. Il Trono di Spade sfugge alla logica binaria, demolisce la presunta superiorità etica dell'eroe (o di chi gioca a riconoscersi come tale) per esaltare, invece, la sospensione di qualsiasi giudizio morale, il rovesciamento dello stereotipo e dei tòpoi di genere, la riflessione su ciò che è comunemente considerato giusto o sbagliato, la complessità dei sentimenti, insieme puri e bestiali, casti e lussuriosi, motori tanto di vita quanto di morte. Insomma, il suo universo è intessuto di una ricchezza tematica squisitamente abbondante e, proprio per questa ragione, addentrarvisi è tutt'altro che cosa semplice.

L'autrice del libro, Giorgia Turnone, è nata a Taranto il 14 luglio 1993. Appassionata di cinema e letteratura, nel 2019 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze dell'informazione editoriale, pubblica e sociale presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro. "O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade" è il suo primo libro.

D. P.