La forma politica del cattolicesimo romano nel libro di Carl Schmitt
Sempre di grande attualità il libro di Carl Schmitt, "Cattolicesimo romano e forma politica" (il Mulino, 100 pagine, 10 Euro, prefazione di Carlo Galli). Pubblicato originariamente nel 1923 nell'ambito del rinnovamento cattolico del primo dopoguerra, il testo di Schmitt è stato percepito ora come momento di una nuova riflessione teologica trionfalistica, ora come appello ad un'alleanza fra cattolicesimo e conservatorismo borghese contro il comunismo, ora come trattato apologetico della maestà ecclesiastica, ora infine come critica della modernità liberale. Riscoprirlo e rileggerlo oggi, in un contesto storico, politico e culturale assai mutato, significa riconoscerne l'intatta forza di suggestione e l'immutata validità come contributo alla comprensione e all'interpretazione di una delle questioni centrali del nostro tempo: quella dei rapporti fra Chiesa e Stato, religione e politica.
Carl Schmitt sottolinea che la grande potenza teologico-politica della Chiesa cattolica è dovuta al fatto che "rappresenta Cristo stesso in forma personale, il Dio che si è fatto uomo nella realtà storica". Così – scrive Carlo Galli- "il cattolicesimo costituisce una mediazione pontificale che (...) collega Trascendenza e Immanenza e da questa verticalità istituisce rappresentativamente e personalisticamente una spazialità orizzontale, pubblica, non atomizzata e individualistica ma formata, politica".
Ancora Carl Schmitt: "Che la Chiesa cattolica romana come sistema politico e come apparato amministrativo continui l'universalismo dell'impero romano, le è riconosciuto con sorprendente consenso da ogni parte. Nazionalisti francesi, fra cui, quale esponente caratteristico, può essere citato Charles Maurras, teorici germanici del razzismo come Houston Stewart Chamberlain, professori tedeschi di ascendenza liberale come Max Weber, un poeta e vate panslavistico come Dostoevskij, tutti fondano le loro costruzioni su questa continuità fra Chiesa cattolica e impero romano. Ora, è tipico di ogni impero mondiale manifestare un certo relativismo verso la variegata moltitudine dei possibili punti di vista, una fredda superiorità rispetto alle particolarità locali e, contemporaneamente, un'opportunistica tolleranza di ciò che non ha valore centrale. A questo proposito l'impero romano e quello inglese si mostrano abbastanza simili. Ogni imperialismo, che sia più di un semplice schiamazzo, porta in sé degli opposti: conservatorismo e liberalismo, tradizione e progresso, perfino militarismo e pacifismo".
Carl Schmitt (1888-1985) ha insegnato in varie università tedesche, prima di diventare professore all'Università di Berlino nel 1933. Avendo aderito al nazismo, alla fine della seconda guerra mondiale fu costretto ad abbandonare l'insegnamento. Si ritirò a vita privata continuando a lavorare e a pubblicare nel campo del diritto internazionale. Fra le sue molte opere tradotte in italiano ricordiamo, pubblicate dal Mulino, "Amleto o Ecuba" (1983) e "Le categorie del 'politico'" (1972, ultima ed. 1998).
D. P.