“La conoscenza storica” analizzata in un libro di Henri-Irénée Marrou

21.09.2024

Il libro di Henri-Irénée Marrou, "La conoscenza storica" (il Mulino, 336 pagine, 16 Euro, introduzione all'edizione italiana di Cinzio Violante) sottolinea tra l'altro che la «conoscenza dell'uomo da parte dell'uomo, la storia è percezione del passato attraverso un pensiero umano vivente e impegnato». Qual è la verità della storia? Quali sono i suoi gradi e i suoi limiti? Quali le condizioni per l'opera storiografica? In altre parole: qual è il corretto atteggiamento della ragione nella ricerca storica? Ponendo queste essenziali domande, Marrou mira a individuare i caratteri della ricerca storica e le regole pratiche che la devono informare. Compone una sorta di trattato sulle «virtù dello storico» a partire dalla definizione generale di storia, per riflettere sul carattere intellettuale e creativo dell'attività dello storico, sull'uso dei documenti e sul cruciale passaggio che va dall'interpretazione del documento alla comprensione del passato. A settant'anni dalla prima pubblicazione in Francia, questo classico del pensiero continua a essere una lettura imprescindibile per comprendere cosa significhi davvero la conoscenza storica.

Henri-Irénée Marrou (1904-1977), storico della cultura e del cristianesimo antichi, è stato professore di Storia antica a Montpellier e a Lyon e di Storia del cristianesimo alla Sorbona.

Scrive tra l'altro Henri-Irénée Marrou: "Eccoci ora all'ultima domanda, quella che sempre abbiamo avuta presente o che può considerarsi la conclusione di tutta la nostra ricerca: qual è la verità della storia? Sin dal primo momento abbiamo sostenuto che la storia sarebbe stata definita dalla verità che essa stessa fosse riuscita a elaborare. Se ne è rivelata capace? Prima di rispondere affermativamente, sono costretto, ancora una volta, a chiedere al lettore di tener presente in quale campo si muova la nostra indagine: si tratta della conoscenza dell'uomo, dell'uomo nella sua ricchezza, nella sua complessità sconcertante, nella sua infinità. Un campo, quindi, ch'è proprio dell'esprit de finesse, e in cui predomina il senso delle sfumature; la nostra verità resta estranea alla rigidezza sommaria dello spirito geometrico, o almeno (le vere matematiche esigono molta finezza) di quelle limitate categorie che di solito vengono indicate con questo termine. Occorre mostrarsi egualmente attenti a evitare similitudini forzate e approssimative dicotomie. La teoria della verità storica è stata fuorviata per opera dei positivisti e del loro semplicismo; e, nonostante l'imponenza della reazione che ne è seguita, sovente essa ne resta ancora come deformata, priva com'è di solide fondamenta. Porre la storia sullo stesso piano delle scienze naturali, e fare dell'obiettività il criterio supremo e in certo senso unico della verità, significa allontanarsi dalla via giusta. Per quanto possa fare, (tutta la nostra analisi l'ha messo bene in evidenza) il povero storico sarà sempre costretto ad accogliere nella sua conoscenza qualche elemento personale: esecrabile e scoraggiante «soggettività»! Pretendere dallo storico, a conclusione del suo lavoro, che egli isoli, sul fondo del suo setaccio, un materiale completamente obiettivo, significa imporgli un compito irrealizzabile".

D. P.