Il diario del Concilio Vaticano II del teologo domenicano Yves Congar

27.04.2023

Le edizioni San Paolo mandano in stampa un testo fondamentale per lo studio e la conoscenza del Concilio Vaticano II e, in generale, della storia della chiesa e del cristianesimo del XX secolo. Si tratta del "Diario del Concilio – 1960-1966" (526 pagine, 59 Euro) del domenicano Yves Congar. L'autore è una delle figure cruciali del Concilio voluto da papa Giovanni XXIII e uno dei maggiori teologi del '900. Le edizioni San Paolo ne avevano già curato una prima uscita in due volumi nel 2005, a partire dall'originale "Mon Journal du Concile I-II" (Les Editions du Cerf, 2002); la nuova veste raccoglie i diari in un unico volume – conservando l'impianto e la paginazione conosciuti - con traduzione di Dorino Tuniz nell'ambito della collana "Storia della chiesa – Saggi".

Il diario del Concilio di Congar è costituito da annotazioni sorprendenti e di estremo interesse storico, per lo più considerazioni e pensieri buttati giù a caldo subito dopo gli incontri avuti nelle navate laterali di San Pietro, o sui marciapiedi della Città eterna, nel corso del Vaticano II. Lo stile è deciso e incisivo, senza preoccupazioni letterarie. Proprio per tale ragione, l'autore aveva deciso di non correggerli ed espresso il desiderio che fossero conservati in archivio fino al 2000. Il "Diario" costituisce una preziosa testimonianza diretta e vivace degli avvenimenti vissuti da Congar, dei diversi attori del Concilio Vaticano II, dei personaggi incontrati, descritti per sé stessi e mai risparmiati o santificati.

La prefazione è di Bernard Dupuy, successore di Congar sulla cattedra di teologia fondamentale a Le Saulchoir. Il suo intervento ricostruisce la storia di Congar e il contesto in cui nacquero i suoi scritti. Quando fu nominato peritus (esperto) per quel Concilio che avrebbe dovuto segnare l'aggiornamento della Chiesa, la posizione di Congar era estremamente delicata. Il teologo era sospettato, sorvegliato e temuto dalla curia romana: tre sue opere erano in discussione e la loro pubblicazione sospesa. Era stato inviato in una sorta di esilio a Gerusalemme, Cambridge e Strasburgo. Il 20 luglio 1960 venne nominato consultore della Commissione teologica preparatoria - insieme al gesuita Henri de Lubac, pure lui da tempo sospettato dalle gerarchie ecclesiastiche – e Congar non aveva una idea chiara di quale sarebbe stato il suo ruolo nel corso del Concilio: accolse la notizia con riserva, scetticismo ma soprattutto stupore. Da anni, infatti, cercava di dare vita a incontri ristretti tra cattolici, protestanti e ortodossi, ed era rimasto sorpreso quando aveva saputo che papa Giovanni XXIII aveva intenzione di convocare un Concilio ecumenico, ovvero spinto dal tentativo di ricomporre l'unità dei cristiani. Il contributo del teologo al Vaticano II, nonostante i gravi problemi di salute, è di grande rilievo e non riguarda esclusivamente l'ecumenismo: Congar tenterà di introdurre nella discussione temi di importanza centrale, come l'ascolto della parola di Dio e la collegialità.

"Guardando le cose aggettivamente - si legge nelle pagine del Diario – ho lavorato molto per preparare il Concilio, per elaborare e diffondere le idee consacrate dal Concilio. Anche durante il Concilio ho lavorato molto. […] Ho sempre ritenuto che non bisognava impadronirsi di alcunché, ma contentarsi di ciò che ci è dato. È questo, per ognuno, il proprio sacrificio spirituale, la via alla propria santificazione. Ho preso quindi ciò che mi è stato dato, mi sono sforzato di fare bene (?) ciò che mi veniva chiesto. Ho preso poche iniziative – troppo poche, credo. Dio mi ha colmato. Mi ha dato a profusione, infinitamente al di là di meriti rigorosamente inesistenti".

Colpito nel 1968 da sclerosi multipla, dal 1969 al 1985 Yves Congar aveva partecipato ai lavori della Commissione Teologica Internazionale, contribuendo al dialogo cattolico-luterano. Solo nel 1994 venne nominato cardinale diacono da papa Giovanni Paolo II, ma a causa delle precarie condizioni di salute e dell'età avanzata venne dispensato dall'ordinazione episcopale: la berretta rossa gli fu imposta dal cardinale Willebrands.

Massimiliano Palmesano