I cattolici e la violenza politica del Novecento nel libro di Lucia Ceci
Nel corso del Novecento i cattolici di diverse aree del mondo - dall'Irlanda del Nord ai Paesi Baschi, dalle Filippine alla Colombia, dal Messico al Ruanda - hanno spesso legittimato e sostenuto l'esercizio della violenza come forma organizzata di lotta politica. Il libro di Lucia Ceci "La fede armata - Cattolici e violenza politica nel Novecento" (il Mulino, 325 pagine, 26 Euro) analizza in chiave storica i percorsi attraverso i quali la tradizione cattolica ha moralizzato la violenza politica, intesa come un complesso repertorio di azioni praticate sia da singoli sia da gruppi armati organizzati non statali con lo scopo di ottenere cambiamenti politici e sociali. Assalti, attacchi alla proprietà, utilizzo di armi ed esplosivi, sequestri di persona, martirio suicida sono solo alcuni degli esempi di violenza politica che si sono intrecciati in qualche modo con l'universo cattolico.
I meccanismi di legittimazione di tali forme di lotta politica rivestono particolare rilevanza in quei contesti in cui si è fatto ricorso alla violenza senza l'autorizzazione di uno Stato o, addirittura, contro di esso. Si tratta di azioni collettive che possono prestarsi a una lettura duplice e contraddittoria, passando dalla categoria del terrorismo a quella della resistenza: un soggetto - o un gruppo - può essere considerato un terrorista o un freedom fighter (un combattente per la libertà) a seconda delle comunità, locali o globali, che lo definiscono nell'uno o nell'altro modo.
Il libro di Lucia Ceci, seguendo un percorso cronologico, focalizza il rapporto culturale del cattolicesimo contemporaneo con la violenza insurrezionale, analizzando i modi in cui le dottrine, i linguaggi e i modelli sono stati elaborati e applicati. La riflessione teologica e gli interventi dottrinali sono interpretati in relazione agli snodi e alle vicende che hanno vissuto una tematizzazione specifica da parte degli intellettuali cattolici e delle gerarchie ecclesiastiche. La ricerca sottolinea come per molti gruppi e individui che, nel corso del Novecento, hanno scelto la lotta armata, la componente religiosa si è sempre intrecciata con motivazioni di ordine politico, sociale e culturale, e difficilmente essa può essere isolata con una chiave di lettura univoca.
Lungo tutto il XX secolo rappresentazioni simboliche, mistiche del sacrificio, fonti teologiche della tradizione cristiana hanno fornito a individui e gruppi repertori e motivazioni per giustificare il ricorso alla violenza insurrezionale, nella convinzione che la scelta armata fosse non solo legittima, ma obbligatoria al fine di difendere istituzioni e valori ritenuti irrinunciabili o per promuovere trasformazioni radicali della vita pubblica. L'analisi tiene conto di una pluralità di casi su scala globale, dai cristeros messicani ai preti guerriglieri, dalla rivolta ungherese del 1956 ai troubles (la guerriglia nordirlandese), dagli agli anni del terrorismo italiano alle lotte antiabortiste. Lucia Ceci indaga nel profondo il rapporto culturale del cattolicesimo con l'esercizio della violenza in un'epoca caratterizzata da mutazioni e ibridazioni tra registri religiosi e prospettive politiche. Un libro che non pretende di esaurire la complessità dell'argomento ma che ricostruisce in maniera precisa la lunga scia del rapporto tra mondo cattolico e diritto alla ribellione.
Massimiliano Palmesano