“Guerra” di Louis-Ferdinand Céline: l’orrore chiuso nella testa

31.05.2023

Il libro di Louis-Ferdinand Céline, "Guerra" (Adelphi, 156 pagine, 18 Euro), traduzione di Ottavio Fatica, a cura di Pascal Fouché, con una premessa di François Gibault, è il primo, folgorante scampolo dei famigerati inediti rubati nel 1944 dall'abitazione di Céline, e rocambolescamente ricomparsi più di settant'anni dopo la sua morte. "Guerra" narra episodi contemporanei alla prima parte del "Viaggio al termine della notte". Nel racconto, scandito in sei sequenze, seguiremo il giovanissimo Ferdinand, alter ego dell'autore, ferito a un braccio e con una grave lesione all'orecchio dovuta a un'esplosione, mentre cerca come un sonnambulo di guadagnare le retrovie attraverso campi di battaglia disseminati di cadaveri martoriati dalle bombe, in una notte visitata da presenze ostili, fantasmi quanto mai reali. Lo ritroveremo poi in un ospedale, in mezzo a infermi d'ogni risma, circondato da infermiere vampiresche nella foia scatenata dal clima bellico. Qui fa amicizia con un altro parigino, malavitoso intraprendente e cinico al punto di far venire la moglie al fronte perché batta il marciapiede per lui. Spunto per nuovi episodi grotteschi, esilaranti e raccapriccianti al tempo stesso, dove Céline preme come mai avrebbe fatto, né prima né dopo, sul pedale di una sessualità estrema. Céline è scrittore da dimenticare, hanno detto, se vuoi vivere, anche se vuoi soltanto leggere, capace com'è di rendere illeggibili gli altri scrittori. Con lui non resta che lasciarsi portare da quel parlottio ipnotico, sbracato e ininterrotto, come il fischio del rimorchiatore sulla Senna, nella notte, che chiudeva il Voyage. Dai primi velenosi accordi di quella petite musique spiritata che seduce, cattura e non lascia scampo. Alla fine, attraverso il suo delirio, ci si accorge che Céline è l'unico scrittore che sia stato capace di nominare quegli avvenimenti. Dalla parte dei Buoni nessuno ha trovato la parola.

Ecco un assaggio del libro: "Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l'orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l'uno e l'altra un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta. Lì accanto Kersuzon era stecchito sotto l'acqua a peso morto. Ho allungato un braccio verso il corpo. Ho palpato. L'altro non ce la facevo più. Non lo sapevo dov'era l'altro braccio. Era schizzato in aria altissimo, vorticava nello spazio e poi ridiscendeva a trafiggermi la spalla, nella carne viva. Ogni volta cacciavo un urlaccio di quelli e poi era peggio. Comunque riuscivo a fare meno rumore, sempre con quel grido, dell'orribile baccano che sfondava la testa, l'interno come un treno. Ribellarsi non serviva a niente. È stata la prima volta che ho dormito, in quella melassa piena di granate che passavano fischiando, in tutto il rumore che hanno voluto fare, senza perdere del tutto conoscenza, cioè insomma nell'orrore. Tolte le ore che mi hanno operato, non ho mai più perso del tutto conoscenza. Ho sempre dormito così nel rumore atroce dal dicembre del '14. Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l'ho chiusa nella testa".

D. P.