“Finale di partita” di Samuel Beckett al Teatro Bellini di Napoli

09.11.2025

Dal 13 al 29 novembre 2025, al Teatro Bellini di Napoli, è in programma – riferisce un comunicato stampa – "Finale di partita" di Samuel Beckett, regia di Gabriele Russo. La famiglia resta la zona sismica per eccellenza del teatro. Da Sofocle in poi, è il terreno dove si consuma la frattura tra il bisogno d'amore e la necessità di difendersi dall'amore stesso. Nel 2025, dentro un mondo che sembra aver superato il proprio apice di senso, torno a Finale di partita partendo da lì: dalla famiglia come ultimo rifugio e, insieme, ultima prigione. L'intento è quello di liberare Beckett dalla cornice dell'Assurdo e del "dopo la fine del mondo" per restituirlo a una realtà che ci appartiene. L'assurdo non è un genere: è una condizione quotidiana. Vive nella ripetizione dei gesti, nelle abitudini che ci tengono in vita, nella paura di cambiare posizione, di uscire, di restare soli. L'appartamento di Hamm e Clov è una casa reale, decadente, impoverita. Le finestre non si aprono più, i genitori vivono da anni nel bagno – non in un'astrazione scenica, ma in una vasca che odora di ruggine e di memoria. Tutto ciò che li circonda è vero, tangibile, ma anche fragile come una memoria che si sbriciola. Il riferimento al periodo della pandemia resta sottotraccia, non dichiarato. Non serve nominarlo: è rimasto nel corpo degli attori, nei loro respiri trattenuti, nella distanza con cui si parlano. La segregazione, la stanchezza, la convivenza forzata sono esperienze che oggi riconosciamo senza bisogno di metafore. Finale di partita diventa così una radiografia del nostro tempo: una famiglia chiusa in una routine che si ripete, incapace di salvarsi e di smettere di provarci. Non un'allegoria filosofica, ma una storia d'amore e di sopravvivenza. Il dolore, la dipendenza, la paura, l'ironia: tutto si muove dentro un presente che non passa mai. La partita è ancora la stessa, ma il finale non è più un concetto astratto. È la resa quotidiana che ciascuno di noi compie di fronte all'altro, nel tentativo – disperato e tenerissimo – di restare vivi.

Gabriele Russo: QUADERNI DI REGIA. Dentro le prove di Finale di partita - Quando si affrontano le prove di uno spettacolo ci sono, in fondo, due possibilità. La prima è arrivare in sala con un'idea già definita, una mappa precisa di ciò che lo spettacolo dovrà essere: ritmo, tono, visione. La seconda, più rischiosa ma anche più fertile, è usare le prove come terreno di scoperta, come attraversamento del testo insieme agli attori, lasciando che il senso emerga dal lavoro, dal corpo, dall'ascolto reciproco. Nel caso di Finale di partita, non potevo che scegliere la seconda via. Beckett non si lascia "illustrare": le sue parole, così esatte e cristalline, nascondono altre possibilità, più sottili, invisibili a una prima lettura ma profondamente radicate nel testo. Solo attraversandole in prova, scavando nelle pause e nei silenzi, si può forse intravedere la vita che pulsa sotto la superficie perfettamente costruita del suo linguaggio. Mettere in scena oggi Finale di partita significava prima di tutto chiedersi perché farlo. Non per rendere omaggio a un classico, ma per capire che cosa quel classico possa ancora dirci. Un testo diventa davvero "classico" quando non smette di mutare nel tempo, quando permette al presente di rispecchiarsi in esso. Ogni nuova messinscena è un tentativo di interrogare quella materia viva, di farla rispondere al nostro tempo. Le prove sono state difficili, nel senso migliore del termine. Abbiamo scelto una strada che rompesse con il ritmo musicale canonico del testo beckettiano, cercando invece un battito interiore, emotivo, relazionale. L'assurdo, in questa lettura, non nasce dalla forma della scrittura ma dalla verità dei rapporti umani: dalla dipendenza, dal potere, dall'amore che distrugge. La casa in cui si svolge l'azione è verosimile; le relazioni lo sono ancora di più. Assurde, tossiche, dolorosamente reali — come sanno essere i conflitti generazionali e affettivi. È la fine di tutto: della vita, del linguaggio, della possibilità stessa di comunicare. Si parla tanto, ma per arrivare a dire che non ci sono più parole. Con gli attori abbiamo lavorato sull'ascolto e sulla reazione, su un ritmo non rassicurante, non teatrale in senso classico. Abbiamo cercato la teatralità nella verità della vita e la vita nella finzione della scena. Ci siamo concessi il rischio, ogni giorno, di non sapere esattamente dove saremmo arrivati, lasciando che il testo reagisse a noi e noi al testo. Il nostro intento non era "beckettizzare" Beckett, ma liberarlo dal cliché che lo imprigiona. Per rispetto, non per distanza. Guardato con uno sguardo meno canonico, Beckett rivela spazi di libertà immensi, possibilità molteplici che nessuna interpretazione definitiva può esaurire. Nulla, nel suo teatro, può essere rappresentato come omaggio: va attraversato, vissuto, contraddetto. Abbiamo provato, riprovato, scavato in ogni battuta, accettando che la scena restasse fragile, esposta, diversa ogni sera. Finale di partita non è uno spettacolo da chiudere, ma da tenere aperto: una struttura in bilico, pronta a trasformarsi. Forse è proprio lì, in quella fragilità viva, che si nasconde ancora oggi la sua verità.

Crediti – "FINALE DI PARTITA" di Samuel Beckett, traduzione Carlo Fruttero, regia Gabriele Russo. Con Michele Di Mauro, Giuseppe Sartori, Alessio Piazza, Anna Rita Vitolo. Scene Roberto Crea, costumi Enzo Pirozzi, disegno luci Roberto Crea e Giuseppe Di Lorenzo, musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione. Produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo.

D. P.