“Esercizi negativi”: un libro di E. M. Cioran apertamente provocatorio

Con il libro "Esercizi negativi" (Adelphi, 265 pagine, 16 Euro, a cura di Ingrid Astier, traduzione di Cristina Fantechi), E. M. Cioran ancora una volta si conferma un grande stilista, l'erede dei moralisti del XVIII secolo, colui che, come ha scritto Jean d'Ormesson, «ha ridipinto in nero l'asciuttezza elegante del Settecento libertino». I testi qui raccolti ci offrono il privilegio raro di penetrare nel laboratorio di Cioran e di assistere, per così dire in presa diretta, al distillarsi del suo pensiero. Scopriamo così come il Cioran degli inizi, più lirico, più «scarmigliato», «più apertamente provocatorio», arrivi alla folgorante condensazione del frammento. «Gli Esercizi negativi mostrano l'"esplosione" vissuta e il lento lavoro di rifinitura dello stile» osserva Ingrid Astier, e basterà scorrere anche solo i titoli di alcuni capitoli – «L'assoluto e le sue caricature», «L'improbabile come salvezza», «Il suicidio come strumento di conoscenza», «Tra Dio e il verme», «Del solo modo di sopportare gli uomini» – per cogliere la forza dirompente di un libro dal quale non si esce indenni. Perché «un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo», affermerà molti anni più tardi lo stesso Cioran, svelando l'intento profondo di queste pagine, che alla minaccia dell'accecamento preferiscono la lucidità dell'insonnia.
Ecco un assaggio del libro: "Avevo diciassette anni e credevo nella filosofia. Ci credevo con l'ardore del parvenu e di chi non si sente al passo con la cultura, con quella sete di istruzione tipica dei giovani dell'Europa Centrale, desiderosi di impossessarsi di tutte le idee, di leggere tutti i libri, e di riscattare, avidi di sapere, il proprio passato vergine, ignorante e umile. Avendo deciso di conoscere tutto, dovevo divorare indiscriminatamente tutto quanto era stato pensato e concepito; la prima cosa che affronta il barbaro è l'astrazione perché è quella che più lo abbaglia; se ne impregna, la mescola al proprio sangue, che dapprima la rifiuta per poi assimilarla come un veleno. Lascio la Transilvania, vado a Bucarest, e divento studente di filosofia. Mi ci dedico con lo zelo di un Ottentotto risvegliato di colpo al pensiero".
M. P.